10 cose che chi lavora in sala o cucina vorrebbe dirti - ma non può -
- 23/06/25
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Se hai mai lavorato in un ristorante, lo sai: il servizio è una coreografia continua, fatta di sorrisi, velocità, imprevisti e tenuta mentale. È un mestiere complesso, fatto di orari intensi, ritmi serrati e attenzione costante al cliente. Chi lavora in sala o in cucina lo fa con professionalità, passione e spesso con il sorriso, anche quando la stanchezza si fa sentire. Se invece sei solo un cliente abituale, sappi che dietro ogni piatto servito con eleganza e ogni "arriva subito" c’è un piccolo mondo che non vedi.
Ci sono tante cose che chi lavora in sala o in cucina vorrebbe dirti… ma non può. Per educazione, per policy o semplicemente perché non è il momento. E allora ci pensiamo noi.
1. Non siamo camerieri, siamo professionisti
Sì, siamo qui per servirti. Ma non siamo “solo” camerieri o cuochi. Abbiamo studiato, fatto esperienza, gestito stress infiniti.
Troppo spesso si tende a guardare chi lavora in sala o in cucina con superficialità, come se si trattasse di un lavoro “di passaggio” o poco qualificato. In realtà, servire ai tavoli, gestire una comanda, coordinare i tempi della cucina o preparare decine di piatti a sera richiede abilità, formazione ed esperienza. La ristorazione non è improvvisazione: è un mestiere vero, serio e pieno di responsabilità.
2. Sorridiamo anche quando stiamo correndo da tre ore
Un cameriere o una cameriera sorride quasi sempre, anche quando ha i piedi in fiamme, quando è a fine turno o quando ha appena ricevuto l’ennesima richiesta contraddittoria da un tavolo. Il sorriso non significa che vada tutto bene: è parte del servizio, della professionalità. Ma non è scontato. Dietro, c’è spesso fatica, tensione, e una grande capacità di gestione emotiva.
Quel sorriso è professionalità. Anche quando hai appena chiesto per la terza volta l’acqua frizzante e noi stiamo gestendo sei tavoli e un ordine sbagliato in cucina.
3. “Cotto a puntino” per te non è lo stesso che per un altro
Lo capiamo, ognuno ha i suoi gusti. Ma se ci dici "medio", poi non arrabbiarti se non è come te l’eri immaginato. Un po’ di fiducia nello chef, dai.
Quando ordini una carne “al sangue” o “media”, sappi che non esiste uno standard universale per il tuo gusto. Anche se in cucina i parametri sono chiari, ogni cliente ha un’idea diversa di cosa significhi “giusto”. A volte, si pretende la perfezione assoluta su un concetto molto soggettivo. La cucina fa il massimo per rispettare le indicazioni, ma serve anche un po’ di elasticità da parte di chi è a tavola.
4. Ogni modifica al piatto cambia tutto
Sì, possiamo toglierti la cipolla. Ma se stravolgi mezza ricetta, non aspettarti lo stesso risultato.
Togliere un ingrediente può sembrare una richiesta banale, ma in molti casi cambia l’intero equilibrio della ricetta. Ogni piatto è pensato in modo preciso, tra sapori, texture e tempi di cottura. Quando si chiede “senza cipolla, senza panna, con salsa a parte”, si va oltre la semplice personalizzazione: si chiede allo chef di rielaborare una formula. Possibile? Sì. Ma non neutro, né sempre ideale.
Cucinare non è solo assemblare ingredienti: è equilibrio, tempi, tecnica.
5. Il "non è come l'altra volta" ci perseguita
Ogni servizio è diverso. Un fornitore cambia, un cuoco è assente, il prodotto è più maturo. Facciamo del nostro meglio, sempre.
“Era più buono l’altra volta” è una frase che chi lavora in cucina sente spesso. Ma bisogna ricordare che ogni servizio è diverso: la materia prima può variare leggermente, lo chef può essere cambiato, oppure semplicemente l’attesa e il contesto influiscono sulla percezione del piatto. Se il cibo non convince, è giusto segnalarlo. Ma tenendo conto che, a volte, la memoria gioca brutti scherzi.
6. Le urgenze? Le capiamo. Ma non siamo maghi
“Scusate, siamo di fretta, potete fare prima?” è una frase legittima, soprattutto in pausa pranzo. Ma in un locale pieno, dove ogni ordine ha una priorità, chiedere di “saltare la fila” mette in difficoltà l’intera squadra. La cucina non lavora a comando singolo, ma per comande multiple. L’urgenza si gestisce se possibile, ma non può diventare la regola.
Il rispetto per il lavoro degli altri vale anche qui. E la qualità richiede tempo.
7. Dietro una comanda ci sono almeno 3 persone coinvolte
Chi prende l’ordine, chi lo gestisce, chi lo prepara. Non è solo “una pasta al pomodoro”: è coordinamento. Ogni dettaglio conta.
Quando ordini un piatto, dietro ci sono: chi prende l’ordine, chi lo inserisce nel sistema, chi lo prepara, chi lo impiatta, chi lo porta. Il tutto coordinato in tempo reale, spesso tra decine di tavoli. Un piccolo errore in una di queste fasi può avere un effetto domino. Ecco perché, se qualcosa non torna, conviene parlare con calma e dare la possibilità di sistemare le cose.
8. Le mance fanno la differenza
Un “grazie” va bene. Una mancia, anche piccola, dice: “ho visto il tuo impegno”.
Non si tratta di elemosina, ma di riconoscimento. Una mancia, anche simbolica, è un segnale di apprezzamento concreto per chi ha servito con attenzione e disponibilità. In un settore in cui lo stipendio base è spesso contenuto, le mance aiutano davvero. Non è un obbligo, certo, ma fa sentire che il lavoro svolto è stato visto e valorizzato.
9. Anche noi mangiamo tardi, corriamo, sbagliamo
Siamo umani. Anche se il servizio richiede ritmo, presenza e precisione, ogni tanto ci sfugge qualcosa. Se succede, segnalalo con gentilezza. Risolviamo tutto.
Chi lavora in ristorazione non ha orari “normali”, spesso non fa pause vere, e si muove senza sosta per ore. Può succedere di sbagliare un ordine, dimenticare un dettaglio, invertire un piatto. Fa parte del lavoro. Ma fa parte anche dell’umanità. Quando succede, la differenza la fa il modo in cui il cliente reagisce: la gentilezza non costa nulla e cambia l’intero tono di un servizio.
10. Un cliente educato migliora il turno
Non immagini quanto cambi la giornata lavorativa un cliente che sorride, ascolta, rispetta. È gratis e vale più di mille recensioni.
Una parola gentile, un sorriso, un "grazie sincero" fanno una differenza enorme. In una serata lunga e intensa, anche solo un tavolo rispettoso può migliorare l’umore di chi lavora. La buona educazione è contagiosa. E non c’è professionista della sala o della cucina che non ricordi con piacere i clienti gentili.
In conclusione:
Chi lavora nella ristorazione non cerca applausi, ma rispetto.
È un mestiere fatto di fatica, velocità, competenza e spesso poche pause. Se la prossima volta che vai a cena fuori ti ricordi anche solo una di queste frasi, hai già fatto la differenza.
JoJolly è al fianco di chi lavora ogni giorno dietro le quinte del gusto. E anche davanti.
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